STORIA DEL TABACCO NEL CANALE DI BRENTA
"Di tabacco si muore" sostiene la scienza; "Di tabacco si vive" (o meglio si viveva!) affermava la gente del Canale di Brenta, i "canaloti".
A rivoluzionare la povera economia del Canale arrivò, nella seconda metà del '600, una pianta esotica: il TABACCO.
Della plurisecolare coltivazione, oggi quasi estinta, rimane il ricordo nei caratteristici terrazzamenti sostenuti con "muri a secco" e denominati "masiere" che si innalzano sui pendii delle montagne fino a 400-500 metri sul livello del Brenta. Per secoli dalla coltivazione del tabacco, e dal suo contrabbando, la gente del Canale di Brenta aveva ricavato quel minimo che le garantisse almeno la sussistenza. Oggi si continua, su qualche fazzoletto di terra, questa coltivazione, ma solo a fondo valle, più vicino alle abitazioni, dove la fatica è minore!
Molto interessanti e da visitare sono:
Il "Museo del Tabacco" a Carpanè ed il "Museo etnografico" a Valstagna.
1) STORIA DEL TABACCO
2) COLTIVAZIONE DEL TABACCO
3) TERMINOLOGIA LOCALE
Fino a non molto tempo fa, i ripidi versanti della Valbrenta, sistemati a terrazzi, erano coltivati a tabacco: ben 20 milioni di piante ogni anno, sorvegliate con occhio acuto dai verificatori e dalle guardie di finanza dello Stato.
La coltivazione del tabacco si diffuse in Europa solo dopo il 1560; quando e come sia arrivato nel Canale di Brenta la pianta del tabacco non è storicamente documentabile. Si dice che, tra la metà e la fine del sedicesimo secolo, un monaco benedettino avrebbe portato con sé. nel convento di Campese. alcuni semi della pianta del tabacco, pianta allora denominata Erba del Gran Priore" o Erba Santa" (per la polvere starnutatoria che se ne poteva ricavare). Gli abitanti della destra Brenta e dei Sette Comuni iniziarono così, nella nostra zona, una nuova coltura.
Con il diffondersi dell'uso del tabacco la Repubblica di Venezia, fiutatane l'importanza commerciale, impose sul tabacco un dazio sull'importazione e un decreto del 1654 ne vietò la semina, l'impianto, la vendita privata.
Fino al 1702, basandosi sugli antichi loro privilegi, i nostri paesi poterono comunque continuare la coltivazione che anzi andò espandendosi sempre più. La coltivazione del tabacco andò così a sostituire l'originaria coltivazione estensiva di canevo o canapa, insieme ai gelsi, al granoturco e al miglio. Un decreto del 1703 ed altri successivi della Serenissima proibirono tassativamente la coltivazione del tabacco.
Nel 1760 Venezia decise di far cessare l'abuso e mandò nei paesi del Canale un ispettore con l'incarico di eliminare tutte le coltivazioni di tabacco. Presso Bassano un montanaro attentò alla vita del funzionario della Serenissima, ma questi si salvò ed eseguì scrupolosamente l'incarico dato. Malgrado ciò la coltivazione riprese e, tra il 1763 e il 1796, furono stipulati tre contratti sulla lavorazione del tabacco tra i rappresentanti della Repubblica ed i Comuni di Valstagna, Oliero, Campolongo e Campese. Severe punizioni erano previste contro chi avesse tentato il contrabbando.
L'Austria (1797-1805), succeduta al dominio veneziano, confermò i privilegi già goduti, compresa la coltivazione del tabacco (1800).
Durante il napoleonico Regno d'Italia (1806-1813) regolava la coltivazione del tabacco un decreto emanato il 23 luglio 1811, ispirato da Antonio Maria Valente.
Tornata l'Austria (1813-1866), con decreto del 22 gennaio 1815, ebbero concessione di coltivare anche i paesi della sinistra Brenta, Cismon, Carpané, San Nazario e Solagna, concessione supportata da "imprestanza" (sovvenzione) confermata, nel 1817, da Francesco I d'Austria, di passaggio da queste parti. San Nazario immortalò la grazia regale con una lapide che fa bella mostra di sé nel piazzale della chiesa.
L'Austria si serviva dei tabacchi del Canal di Brenta per la fabbricazione dei "rapati" e della "polvere da fiuto".
Alle primitive "grazie" successero "restrizioni" varie. Il governo austriaco, in considerazione dell'abbondanza di tabacco prodotto, avviava una campagna ostruzionistica contro il "Nostrano del Brenta" dimezzando, fin dal 1819, il prezzo del tabacco, alterando le regole di consegna, provocando tra i valligiani malessere e propensione al contrabbando.
Senza i proventi del tabacco, la Valle sarebbe ripiombata nella miseria più nera. Ecco allora una nuova grazia imperiale: il privilegio della coltivazione veniva confermato il 26 aprile 1824 a tempo indeterminato, con la concessione, una tantum, di un lauto contributo per ovviare ai danni patiti nelle annate precedenti.
In seguito alla prima guerra d'indipendenza (1848-1849), l'Austria sospese il privilegio per la coltivazione del tabacco, trasformandolo in semplice sovrana concessione, perché i Canaloti avevano partecipato con fervore patriottico ai moti per l'indipendenza d'Italia. Per quanto riguarda la coltivazione del tabacco nella Vallata tutto continuò come prima.
Con l'annessione al Regno d'Italia (1866), i contratti con il Monopolio favorirono la coltivazione dell'Avanone (tra le varietà di tabacco - Cuchetto, Avanetta, Avanone e Campesano - era la più combustibile e adatta quindi al mutato uso del tabacco, che dal fiuto era passato al fumo). Anche il sistema di addebito per la consegna del tabacco, un tempo a peso, fu cambiato introducendo il conteggio del numero delle foglie (solo tra il 1954 e il '55 si sarebbe passati dall'addebito a piante ad un addebito a superficie e quindi a peso).
"La coltivazione dl tabacco - è scritto in un documento dell'epoca di Andrea Secco, presidente del Consorzio agrario di Bassano - è l'unica di questi paesi; è la sola che tiene stentatamente in vita circa 16.000 persone; e le derrate tutte che sono indispensabili alla vita, i coltivatori di tabacco devono comperarsele a denaro fuori della vallata. Si aggiunga a ciò la circostanza che la grande maggioranza dei coltivatori è obbligata a comperare tali derrate a credito per poi pagarle in capo all'anno col ricavato del tabacco che consegna alla Regia".
Occupazione e sviluppo demografico alla fine dell'Ottocento erano nel Canale di Brenta assai gravi. Assistiamo così, tra il 1870 e 1'80, ad un massiccio esodo della nostra popolazione verso terre lontane, in Europa e Oltreoceano. A spingere tanta gente a lasciare la propria terra sono le dure condizioni di vita, la mancanza di lavoro, è il trattamento ingiusto e insopportabile riservato a chi è costretto a coltivare il tabacco, assoggettandosi a norme fiscali e pesantemente vessatorie da parte della Regia dei Tabacchi, cioè il Monopolio dello Stato. Tra la fine dell'ottocento e gli inizi del novecento, a causa della fiscalità governativa e di chi era addetto all'applicazione delle relative disposizioni, il contrabbando si fece più acuto.
Dal 1924 una nuova disciplina regolamentava la coltivazione del tabacco attraverso concessioni speciali (su una parte del comune di Bassano e Pove) e concessioni di manifesto, (nei comuni del Canale di Brenta); in quest'ultimo caso il prodotto doveva essere consegnato esclusivamente al magazzino dell'agenzia di Carpané. I coltivatori dovevano sottostare ad alcune tasse e a numerose prescrizioni. Una serie di norme dovevano essere rispettate rigorosamente per non incorrere in sanzioni, sempre gravose e temute per le condizioni economiche della gente valligiana, povera ed indigente. Nel 1939 con il "Consorzio tabacchicoltori - Bassano del Grappa" si costituì un'associazione tra i contadini stessi di Pove e di Campese (Bassano) che godevano della concessione speciale. La consegna e quindi la vendita del prodotto in colli vennero effettuate fino al 1970 esclusivamente con lo Stato. Dopo tale data, la vendita del tabacco venne liberalizzata: ogni coltivatore, a propria discrezione, poteva effettuarlo con il Monopolio o con altri Enti. Dal 1970 quasi tutti i contadini con concessione di Manifesto aderirono alla Cooperativa Tabacchicoltori di Bassano del Grappa.
Tra concessione speciale e concessione di manifesto esisteva una differenza sostanziale, che penalizzava incomprensibilmente quest'ultima e in definitiva i coltivatori del Canale di Brenta, già di per sé svantaggiati per altre condizioni gravose e difficili, non solo di carattere socio-economico, ma anche per la natura fisica del territorio più aspro. Così mentre il Consorzio tabacchicoltori di Campese diventava sempre più fiorente, I'Agenzia di Carpané (costruita nel 1957 e costata la spesa inverosimile di un miliardo) cominciava a languire e diventava sempre più inattiva. Solo dieci anni dopo, a partire dagli anni settanta, i coltivatori della valle, stanchi di tante fatiche e di tanti soprusi, cominciavano già ad abbandonare definitivamente una coltura durata quasi quattro secoli. I tentativi per rilanciare l'Agenzia tabacchi di Carpané approdarono esclusivamente all'ampliamento di posti di lavoro, senza alcuna seria prospettiva di lavorazione. Inevitabile la chiusura di questa cattedrale nella vallata. I contadini del Canale che coltivavano per concessione di Manifesto, tra il 1955 e il 1970, andarono via diminuendo, fino a scomparire del tutto.
Nel 1970 entrò in vigore il Regolamento CEE che rendeva libera la coltivazione del tabacco e quindi non più sottoposta alla regolamentazione precedente. La tradizionale coltura del tabacco, nel breve volgere di un solo decennio, andò scomparendo del tutto. Per un certo periodo rimase ancora un introito complementare, occupando prevalentemente pochi anziani e quanti erano ancora attaccati a questa coltura tradizionale. La maggior parte degli abitanti, e soprattutto le giovani generazioni, hanno cercato però altre fonti di lavoro, più redditizie e più sicure.
Attorno agli anni Ottanta lungo il Canale di Brenta era ancora possibile vedere qualche terrazzamento coltivato. Non costituendo la coltivazione del tabacco, da molti anni ormai, l'economia trainante del nostro paese e dell'intera valle, tramontata col passare delle vecchie generazioni, essa si è ormai del tutto spenta. Il declino dell'agricoltura, la piaga dell'emigrazione e la stessa industrializzazione hanno praticamente decretato l'estinzione di questa coltura non più in grado di competere con le possibilità economiche e le condizioni di vita offerte dall'industria.
COLTIVAZIONE DEL TABACCO nel Canale di Brenta
Il Nostrano del Brenta
"Si coltivi il Nostrano del Brenta" suonavano gli ultimi contratti fra coltivatori della Vallata e l'ormai morente Repubblica di Venezia (Trattato di Campoformido del 18 ottobre 1797)!
Il "Nostrano del Brenta" è una pianta di bassa statura, molto resistente all'azione del vento, di notevole aroma e rusticità: una varietà di tabacco, spuntata dopo un secolo di lavorazione, selezionata da una terra avara che, quando vuole, sa riservare, tra i sudati frutti che produce, qualche dono vitale.
Più tardi, studiosi e tecnici avrebbero distinto tre tipi colturali: il Cuchetto, pregiato per il suo aroma, ma ben presto abbandonato perché troppo delicato; l'Avanetta, dalla foglia piccola, ma di buona qualità, nelle due forme liscia e bollosa; l'Avanone, molto produttivo, ma di pregio inferiore, detto anche Campesano dal paese di Campese, dove veniva coltivato da lungo tempo. Da ricordare anche il Nostrano Gentile, un ibrido, simile all'Avanone, ma con un numero più elevato di foglie.
PREPARAZIONE DEL TERRENO PER LA VANGATURA (trar su i rodài)
Dopo il rigido periodo invernale, nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la "rega" raccogliendola in fasce allineate; si spargeva il "leame" trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi".
Generalmente nel mese di aprile (qualcuno vi provvedeva anche prima dell'inverno), il contadino provvedeva a "trar su i rodai": con la vanga si tracciava un solco (era mezza vangata), riponendo le zolle sempre a monte; si evitava così che la terra, a causa della pendenza dei terrazzamenti, gravasse sulle "masiere" a valle col rischio di frequenti franamenti. L'operazione della vangatura aveva in particolare la funzione di eliminare le erbe infestanti e migliorare la struttura del terreno.
I rodài percorrevano in lungo gli appezzamenti, con l'aspetto di "binari" della larghezza di un metro circa.
VANGATURA E LIVELLATURA DEL TERRENO (vangàr)
La vangatura vera e propria del terrazzamento, prima del trapianto, iniziava a metà maggio circa (dipendeva anche dall'andamento della stagione) e risultava tra l'altro una operazione assai veloce. Aspetto non trascurabile perché in quella fase della coltivazione i lavori sui terrazzamenti erano assai numerosi e gravosi.
Questo era il lavoro più duro per il contadino. Non potendo usare l'aratro si doveva preparare il terreno con la sola forza delle braccia. La vanga girava le zolle di terra e le spianava con maestria, guidata dalla fatica e dal sudore dell'uomo.
Il terreno così livellato era pronto per la piantagione delle piccole piantine di tabacco.
SEMINA (semenar su 'e vanède)
Dopo i rigidi mesi invernali, si iniziava con la semina del tabacco nelle "vanede o vanese", appositamente preparate in un luogo riparato dal vento ed esposto al sole ed inumidite con il "bevarol". Per favorire la nascita e la successiva crescita delle piante, si riparava la zona con "e portee" posate sopra "e forsee".
Nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la "rega", raccogliendola in fasce allineate, e le altre erbe infestanti; si spargeva il "leame" trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi"; si tracciavano "i rodai" usando solo il "baìle" (l'aratro era ancora sconosciuto nella valle) e poi si vangava con cura meticolosa.
All'inizio della primavera, circa alla metà di marzo, il capo zona passava per le contrade della Valle. Consegnava ad ogni titolare di concessione la quantità di semi necessaria per allestire il semenzaio, assegnata in rapporto al numero di piante che il tabacchicoltore avrebbe coltivato: si andava dalle seimila piante, o anche meno, alle 9, 12, 15 e anche 20 mila piante. Il seme del tabacco è piccolissimo e ne bastava qualche grammo. Per determinare con precisione la quantità di semi utilizzava un misurino, grande come un ditale.
Agli inizi della primavera, a metà marzo (dalla festa di San Giuseppe) fino all'ultima settimana di maggio, cominciavano le operazioni di semina delle piantine di tabacco nostrano. Le temperature erano ancora piuttosto fresche, quando addirittura non faceva freddo. Si temevano soprattutto le gelate e le burrasche, per cui sulle aiuole dove erano stati distribuiti i semi del tabacco venivano collocati dei rami sui quali si stendevano dei teli: in genere le stesse coperte (juta) usate per il trasporto del tabacco (ricavate dai sacchi di riso, della farina o del frumento).
Una volta nate le piantine, per farle crescere rigogliose e in fretta, si faceva il "bevaron": le piantine venivano annaffiate con acqua mescolata a solfato ammonico (sali), a letame oppure urina; qualcuno usava la pollina. L'operazione richiedeva una certa avvertenza per non bruciare le piantine.
Gli anziani raccontano che il giovedì della Settimana Santa, al Gloria della messa, si scendeva al fiume per lavarsi il viso in segno di penitenza e purificazione. In ogni famiglia, poi, si provvedeva a riempire qualche botte con l'acqua del fiume che veniva in seguito utilizzata per annaffiare le aiuole del tabacco.
Dagli anni Sessanta, anziché assegnare i semi, cominciarono a portare le piantine e con un camioncino passavano di contrada in contrada per assegnare le piante richieste. A fine stagione, quando si portava il tabacco alla pesa e si otteneva il compenso della stagione di lavoro, veniva trattenuta la somma corrispondente al costo delle piantine (la disponibilità di denaro era ancora un privilegio di pochi).
Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il numero di licenza e dell'appezzamento.
TRAPIANTO DELLE PIANTINE (impiantàr)
Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il numero di licenza e dell'appezzamento.
Nei primi giorni di giugno si iniziava il trapianto: era quasi un rito al quale partecipava tutta la famiglia. Il capofamiglia, preso in spalla il "cristo o misura", tracciava linee ortogonali tra loro. Sui "posti", all'incrocio delle linee, le donne, armate di "caecia" riponevano le piantine (che ormai avevano raggiunto l'altezza di otto-dieci centimetri) e le abbeveravano con un po' d'acqua trasportata dalla Brenta col "bigòl". Risultavano così dei filari regolari della larghezza di circa sessanta centimetri l'uno dall'altro.
RINCALZATURA O SARCHIATURA (dar tera)
Non appena le erbe infestanti cominciavano a crescere, si procedeva alla zappatura per eliminarle e per rincalzare le piantine che ormai avevano raggiunto l'altezza di quindici-venti centimetri (ossia veniva tirata su la terra per tenerle dritte e difenderle dal vento). In quell'occasione si concimavano le piantine con il "pocio", liquame dei gabinetti (latrine). Si controllava la presenza di eventuali parassiti come i "vermi", che rodevano il colletto delle piante o le "sucaroe" (grillotalpa), che intaccavano le radici.
In tal caso si sostituivano immediatamente le piante con altre, le "rimesse", trapiantate appositamente in più rispetto al numero consentito e se non venivano utilizzate dovevano essere sradicate e distrutte, pena multe salate.
Il capozona della "Regia" con uno o più funzionari si presentava per la "conta" delle piante. Nel caso ce ne fossero più del lecito, quelle eccedenti dovevano essere sradicate e distrutte. Talvolta si scavavano delle buche che servivano per trattenere l'acqua, soprattutto nei campi in pendenza, come lo sono in gran parte quasi tutti i terrazzamenti.
CIMATURA E ASPORTAZIONE DEI GERMOGLI (simàr e rabutàr)
Giunte ad una certa altezza (circa quaranta-cinquanta centimetri), le piante venivano cimate, togliendo la parte più alta. Questa operazione permetteva lo sviluppo delle foglie rimaste nello stelo, o gambo. In genere rimanevano tre o quattro corone di foglie, con una decina delle stesse per pianta. Molto presto questa reagiva con l'emissione di germogli, i "rabuti", che dovevano essere subito tolti. Il "rabutar", lavoro piuttosto monotono, era la mansione delle donne e dei bambini.
ASPORTAZIONE DELLE FOGLIE PIU' BASSE O SECCHE (repuimento)
Un altro lavoro prima della seconda verifica da parte degli addetti della "Regia" era il "repuimento", cioè l'asportazione delle foglie basali che venivano eliminate perché di poco valore. Un tempo questo lavoro veniva fatto dalla Finanza per evitare il contrabbando.
Questa operazione richiedeva l'aiuto reciproco di varie famiglie coltivatrici che a turno si aiutavano a ripulire le foglie più basse, piccole o brutte, lasciando sullo stelo le più belle e sane, che venivano contate dall'addetto del Monopolio. Le foglie tolte venivano gettate in una buca appositamente scavata in un angolo dell'appezzamento stesso, tagliuzzate con le vanghe e sepolte per evitare che venissero usate come contrabbando. Tutto ciò avveniva sotto lo sguardo vigile della Finanza.
Ormai era tutto pronto per il secondo controllo delle foglie. Infatti la consegna al magazzino era "per foglia", si doveva cioè consegnare il numero esatto di foglie stimato nell'operazione di conteggio. L'operazione avveniva contando le foglie di ogni singola pianta di un numero di file prese a campione. Veniva quindi fatta una media in base alla quale veniva fissato il numero delle foglie che dovevano essere consegnate al magazzino. Se non veniva fatta la consegna esatta bisognava risarcire. Evidentemente al coltivatore conveniva consegnare al magazzino il numero preciso di foglie di tabacco.
RACCOLTA O VENDEMMIA (vendemàr o tor su tabacco)
Verso la fine di settembre le foglie cominciavano a maturare, specie le più basse. Iniziava così la vendemmia. Si iniziava dal basso, poiché erano le foglie della corona più bassa quelle che giungevano prima a maturazione. Successivamente era la volta del "fior" o "prima", cioè le foglie più alte, più grandi e più pregiate. Quindi si passava alla "seconda". Sul campo poteva rimanere qualche pianta non ancora giunta a completa maturazione, i "gambarei". Il tabacco raccolto veniva predisposto ai bordi del campo in "carghe", con i "bugaroi", pronte per essere portate a casa, per lo più a spalla.
MACERAZIONE (metare in màsara)
A casa, il tabacco veniva messo immediatamente in "màsara", per essere portato ad ingiallimento mediante fermentazione. Le foglie cioè venivano accatastate, in soffitta o nelle stalle, con la punta della foglia rivolta in alto e la costa verso l'esterno. Nell'arco di qualche giorno, constatato il giusto ingiallimento raggiunto, si procedeva alla cernita delle foglie, cioè a "sernir". Si passavano le foglie una per una, mettendo da parte quelle non ancora pronte e distinguendo le altre a seconda della grandezza.
Bisognava controllare sovente la giusta macerazione per evitare che andassero a male o marcissero. Nei locali si respirava un'aria pesante per il forte odore del tabacco.
ESSICCAZIONE (picàr sui smussi)
Quando le foglie erano diventate tutte gialle, si portavano sulle soffitte per appenderle sugli smussi (listelli lunghi tre-quattro metri) in modo che si essiccassero all'aria.
Disteso uno "smusso" per terra, si passava a "picar", stendendovi sopra le punte di due o tre foglie per volta e sovrapponendone gradualmente le punte senza dimenticare di fissare con lo "speo" gli ultimi due gruppi di foglie.
Lo "smusso" così pronto veniva collocato sui "teari", telai per l'essiccazione, nelle soffitte o nelle stanze alte dell'abitazione.
Dopo una quindicina di giorni, per completare l'essiccazione, le foglie venivano girate dall'altra parte, sovrapponendo un altro listello e rovesciando il tutto.
Periodici controlli erano necessari per verificare l'andamento dell'essiccazione, al fine di evitare l'ammuffimento. Dopo un mese circa, ad essiccazione quasi ultimata (tutte le foglie erano completamente marrone e la costa centrale doveva essere ancora un po' morbida), si prendeva per mano smusso per smusso, rovesciando il tabacco in catasta, "in banca", per il raggiungimento del giusto grado di umidità e per poterlo lavorare senza romperlo.
CERNITA FOGLIE E PREPARAZIONE DEI MAZZI (stiràr e far mazzi)
Nel tardo autunno si faceva la cernita. Le foglie, distinte in base alla grandezza e alla qualità, venivano stese con cura in "massi" di 50 foglie, legati con spago, rafia o anche con le scorze del tiglio. Con le foglie colpite dalla tempesta, che aveva reso il tabacco "rosto", si facevano dei mazzi a parte. Queste operazioni venivano eseguite generalmente nella stalla, in più persone, da parte delle donne. Le foglie venivano stese delicatamente con la mano, ma si racconta che talvolta alla stiratura si procedeva addirittura con il ferro da stiro a brace. Si rifacevano le "banche" con i mazzi ben allineati e pronti da consegnare al Monopolio di Stato a Carpané.
ESTIRPAZIONE STELI (cavar i gambùgi)
L'ultima operazione all'aperto consisteva nel togliere gli steli delle piante di tabacco rimasti negli appezzamenti dopo la vendemmia. Sovente era motivo di gara sportiva tra i giovani. Vinceva chi ne toglieva di più in meno tempo. Una volta tolti dal terreno, venivano violentemente sbattuti tra loro per togliere la terra e ammucchiati in piccoli covoni per poi bruciarli a primavera. Intanto l'inverno con la neve si avvicinava... e i lavori erano finiti!
TERMINOLOGIA
Baìle
Il baìle o baìl (vanga) era ed è un attrezzo comune, costituito da un manico di legno, lungo 1 metro e mezzo circa, e da un'appendice in ferro, una pala a punta per affondare nel terreno, mediamente di 28-30 centimetri. Serviva 'a trar su i rodai', voltare le zolle in autunno e a rivangare in primavera.
Balànsa
La balànsa era una stadera formata da un unico piatto, su cui si poneva il tabacco (o altra merce), retto da tre catene. La misura del peso si legge sulla leva, su cui viene fatto scorrere il contrappeso. La balànsa ha in genere due portate che corrispondono a due scale incise sugli spigoli opposti del braccio. Si può utilizzare l'una o l'altra portata capovolgendo il braccio, operazione questa che modifica opportunamente il braccio di leva.
Bassacuna
Serviva a pesare grandi quantità di tabacco o di altre merci.
Bastina
La bastina, era un piccolo basto, confezionato con foglie secche di granturco (scartossi de sorgo) o paglia, rivestito con sacco di juta o canapo. Veniva posto sulle spalle per appoggiare la sbessoea che serviva per il trasporto del leàme o della terra.
Bevaròl
Il bevaròl (annaffiatoio), generalmente di latta, serviva ad 'abeverar' le vanese o le piantine di tabacco appena messe a dimora.
Bifa
La bifa, ricavata da una tavoletta di legno o da una piccola lamiera o altro materiale, generalmente di forma rettangolare (15 x 10 centimetri circa), riportava i numeri riferiti al concessionario di licenza per la coltivazione del tabacco.
Bigòl
Il bigòl è un arco dalla curva accentuata di legno robusto, in genere di cornoàro (corniolo) o di noseàro (nocciolo), lungo circa un metro e mezzo, piallato dal lato esterno, e fornito alle due estremità di ganci (reciàre) in ferro a cui si appendono i carichi (secchi colmi d'acqua).
Caécia o broca
La caécia (cavicchio), è un semplice pezzo di ramo con un'appendice ricurva, della lunghezza di una trentina di centimetri, che serve per forare il terreno quando vi si vogliono introdurre semi o piantine. A Valstagna era più comunemente usata la broca, un pezzo di legno arrotondato sull'impugnatura e appuntito nell'altra estremità, della lunghezza di 18-20 centimetri e del diametro di 2-2,5 centimetri, generalmente ricavato dal manico della scopa. Era indispensabile per piantare il tabacco, ma si usa ancora comunemente negli orti per mettere a dimora le varie piantine.
Caìn
Un recipiente di latta smaltata di larghezza variabile, di solito di 30-35 centimetri di diametro, dalla forma svasata, profondo una decina di centimetri. Serviva a contenere le piantine al momento della messa a dimora.
Carèga
La carèga tradizionale, dalla forma caratteristica, aveva un solido telaio di legni squadrati, lavorati artigianalmente, e un fondo di paglia da carèghe, costituita dalle foglie essiccate di piante palustri (le sale o carici). La carèga veniva talvolta impagliata con gli scartossi (foglie essiccate del granturco).
Cariolòn da leame
Era una cariòla dal fondo piatto e ampio, senza sponde, che serviva a portare il leàme dalla stalla ai terrazzamenti. Il cariolòn, come altri attrezzi da trasporto, era costruito dall'uomo di casa.
Carga de tabaco
Il carico di tabacco trasportato dai terrazzamenti alla casa. Carga poteva, inoltre, indicare il carico di tabacco dei contrabbandieri.
Cartine
Cartine finissime gommate con puro lino e canapa. Sono insuperabili e leggerissime. Fumandone 30 avrete consumato circa un grammo di carta.
Cuerta, cuertina o bugaròl
La cuerta, detta anche bugaròl, di solito veniva confezionata con sacchi di juta, ricucendo i bordi. Su due estremità portava due cordicelle di canapo. Sulla cuerta o bugaròl venivano disposte le foglie di tabacco: era la carga di tabacco.
Falsa
La falsa, falce, è un altro antichissimo attrezzo fondamentale nel lavoro dei campi. Ha la lama ricurva fissata solo con un semplice anello in ferro a un manico che è tutto di legno di nogàra (noce). Sul manico ci sono due impugnature (a volte ce n'è una sola), sempre in legno.
Fior
Foglie di tabacco, dette anche foglie di prima, erano le prime tre foglie alte della pianta, quelle più pregiate per qualità e più consistenti per peso. Questo fior è conservato dal 1966 e proviene da Oliero.
Forca
La forca è costituita da un manico di legno lungo circa 1 metro e mezzo circa e da una appendice, lunga 20-25 centimetri, a tre o quattro denti in ferro.
Gambuij
Gambo della pianta, ancora inpiantato nel terreno, dopo aver tolto tutte le foglie. Doveva essere estirpato con la piconea e distrutto con tutte le radici. A volte venivano lasciate delle parti di radici per poter avere nuove piantine per il contrabbando. Per la stessa ragione, dai gambuij, prima di essere estirpati, si recuperavano le poche e piccole foglie che nascevano dai rigetti lungo il gambo.
Macina tabacco
L'attrezzo serviva a sminuzzare il tabacco. Con la foglia ridotta in polvere si otteneva tabacco da naso, che veniva contrabbandato.
Massùco
Il massùco (mazzuolo) era un attrezzo di legno che serviva a battere la nervatura centrale della foglia, i màneghi o tòtani (appendice basale della foglia) e la rottura delle foglie di tabacco (ogni residuo o scarto di tabacco che avrebbe dovuto essere tassativamente distrutto o consegnato al magazzino tabacchi) per ottenere una più rapida essiccazione. L'operazione avveniva all'aperto e al sole. Si trattava di tabacco da naso destinato al contrabbando. Anche i màneghi, una volta ridotti in povere, venivano poi contrabbandati. Da un chilogrammo di tabacco secco si ottenevano circa 3 etti di tabacco da naso.
Monega
Lo strumento usato per scaldare il letto d'inverno era la monega (trabiccolo), un attrezzo dalla caratteristica forma di navicella. E' un traliccio in legno lungo poco più di un metro che serve a tenere alzate le coperte e a contenere la fogàra in modo da impedire che il calore delle bronse surriscaldi o bruci le coperte. I due ripiani che contengono la fogàra sono rivestiti, all'interno, di lamiera.
Mortaio
Nel mortaio si riducevano in polvere da fiuto i gambi e gli scarti delle foglie di tabacco. Questo modello, in legno, proviene dalla Romania. In Valbrenta spesso si usava una pietra incavata, chiamata "pia".
Paga debite
Questo attrezzo, unico nel suo genere, con un manico ed una estremità in ferro arrotondata, era usato a mo' di leva per ridurre in polvere le foglie di tabacco, ma anche i màneghi e le rotture delle foglie di tabacco (ogni residuo o scarto di tabacco che avrebbe dovuto necessariamente essere distrutto o consegnato al magazzino dei tabacchi). Veniva chiamato paga debite in quanto il contrabbando del tabacco da fiuto consentiva guadagni più sostanziosi per pagare i debiti e disporre di qualche gruzzolo di denaro.
Pia
Recipiente di pietra locale (rosso Asiago, biancone, rosa, verdello...) che serviva a pestare il tabacco con il paga debite, pal de fero con l'estremità arrotondata. Il lavoro era di solito ritmicamente condotto in coppia, in nascondigli sicuri.
Piconèa
Era un piccone al quale era stata tolta l'estremità a punta, attrezzo con manico di legno lungo circa un metro e una estremità in ferro di 15-20 centimetri. Serviva a sradicare dal terreno i gambi ('gambuji') della pianta di tabacco.
Pompa per verderame
L'attrezzo serviva e serve a trattare la vite con il verderame.
Rastèl
Il rastèl tradizionale (rastrello) è formato da un lungo esile manico, lungo 1 metro e mezzo, che si inserisce, in fondo, in un traverso in ferro, o in legno, che porta i denti. Serve sia a rompere le zolle che a livellare il terreno.
Rullo
Questo attrezzo serviva a pestare le nervature e rendere lisce le foglie di tabacco, in genere il fior del tabacco destinato al contrabbando. Il tabacco così preparato era anche denominato rodoeà (arrotolato). Il procedimento dello schiacciamento era eseguito con il rullo di pietra dopo aver steso per terra una certa quantità di foglie di tabacco. L'attrezzo serviva anche per stirare le foglie di tabacco.
Sapa
La zappa ha un manico di legno, lungo circa 1 metro e mezzo, e due appendici: la pala di 20 centimetri circa e la punta di 10-12 centimetri. E' molto diffusa anche la marra, la zappa cioè con la sola pala, lunga una ventina di centimetri, che serviva a "dar tèra al tabacco
Saponèa
La saponèa, come la piconèa, era un piccone al quale era stata tolta l'estremità a punta. Attrezzo con manico di legno lungo circa un metro e una estremità in ferro di 20 o più centimetri. Serviva a sradicare dal terreno i gambi (gambuji) della pianta di tabacco.
Sbesoea
Era una specie di cassetta, usata per il trasporto della terra o del letame. In questo caso era rivestita, all'interno, da una lamiera che serviva a trattenere il liquame. Era costituita da un piano in tavole di legno con bordi rialzati su tre lati, mancante sulla parte anteriore per scaricare il contenuto.
Segone e pialla
Attrezzi usati per fare gli i smussi, traversi in abete sui quale venivano appese le foglie di tabacco.
Siliéra
La siliéra (barella) è un attrezzo che veniva adoperato per il trasporto del leàme. La siliéra era fatta come la barella, con quattro manici e un piano base portante al centro.
Snisoea, béco
Il béco, detto anche snisoea, è una comune slitta, non molto grande, ma dalla struttura molto solida, costruito generalmente con legno di faggio ricurvo. E' formata da due branchi, gli scivoli, (talvolta rivestiti nella parte inferiore di consistenti lamine di ferro), dette ràie, sulle quali si incastrano quattro strutture lignee verticali dette colonéte, sulle quali si regge un piano di carico fatte di semplici traversi. Il béco è stato sulle mulattiere e sui sentieri il mezzo di trasporto per eccellenza della zona montana. Questo tipo di slitta era ed è comunemente usato a Campolongo sul Brenta per il trasporto di tabacco o di legna dalla montagna.
Soffietto per zolfo
Con questo attrezzo si trattava con lo zolfo la pianta del tabacco, come la vite o altre piante.
Sogato con passeta
Per tendere il sogato (corda) era necessaria la passeta (passante), un piccolo legno di una ventina di centimetri con due fori, avente la forma vaga di una piccola nave (navetta). Attrezzo indispensabile in montagna per tendere qualsiasi corda.
Spei
Servivano a fissare gli ultimi due gruppi di foglie stese sugli smussi.
Staliéra
Una bilancia per misurare i grandi pesi dai cinque chilogrammi al quintale e più. E' una bilancia a stadera che regge il grosso peso mediante due catene terminanti con due uncini. Bilancia e peso vengono alzati da due persone per mezzo di un palo infilato entro un robusto gancio. Sulla sbarra, che ha una doppia scala graduata su due spigoli contrapposti, la equilibratura e la lettura del peso si fanno regolando il marco (il contrappeso).
Strisso o cristo
Era un rastrellone che serviva a tracciare sul terreno i solchi, prima in direzione orizzontale quindi verticale. Sulle intersezioni veniva posta a dimora la piantina di tabacco utilizzando la caecia o broca. L'attrezzo, completamente di legno, era costituito da un'asta che fungeva da manico lungo circa due metri e da una parte terminale larga circa 1 metro e 80 centimetri, con pioli di legno di una ventina di centimetri che segnavano il terreno, distanti 45 centimetri l'uno dall'altro su un lato e 55 centimetri sul lato opposto (la distanza tra piolo e piolo poteva essere su un lato di 55 centimetri e sull'altro di 60 centimetri).
Scalòn
Scala a tre montanti per picàr i smussi.
Vasi di latta
Questi vasi di latta, di varia dimensione, servivano a nascondere il tabacco all'interno di 'masiere' nei terrazzamenti, in qualche pozzo, nella stella (sotto la greppia delle vacche o sotto il pavimento), in altri ripostigli sicuri della casa o cavità naturali della montagna.
Versaòr
Versaòr, o aratro, è retto mediante due manici che finiscono in due impugnature ed è formato dalla pèrtega (bure) che regge il versaoro, un piccolo vomere che rovescia la terra. Veniva tirato da un adulto o da due ragazzi, mentre chi reggeva i due manici esercitava una pressione in modo che la lama incidesse il solco. Con questo aratro (usato in origine a Pove e poi a Campese) si dava terra alle piante di tabacco.
A rivoluzionare la povera economia del Canale arrivò, nella seconda metà del '600, una pianta esotica: il TABACCO.
Della plurisecolare coltivazione, oggi quasi estinta, rimane il ricordo nei caratteristici terrazzamenti sostenuti con "muri a secco" e denominati "masiere" che si innalzano sui pendii delle montagne fino a 400-500 metri sul livello del Brenta. Per secoli dalla coltivazione del tabacco, e dal suo contrabbando, la gente del Canale di Brenta aveva ricavato quel minimo che le garantisse almeno la sussistenza. Oggi si continua, su qualche fazzoletto di terra, questa coltivazione, ma solo a fondo valle, più vicino alle abitazioni, dove la fatica è minore!
Molto interessanti e da visitare sono:
Il "Museo del Tabacco" a Carpanè ed il "Museo etnografico" a Valstagna.
1) STORIA DEL TABACCO
2) COLTIVAZIONE DEL TABACCO
3) TERMINOLOGIA LOCALE
Fino a non molto tempo fa, i ripidi versanti della Valbrenta, sistemati a terrazzi, erano coltivati a tabacco: ben 20 milioni di piante ogni anno, sorvegliate con occhio acuto dai verificatori e dalle guardie di finanza dello Stato.
La coltivazione del tabacco si diffuse in Europa solo dopo il 1560; quando e come sia arrivato nel Canale di Brenta la pianta del tabacco non è storicamente documentabile. Si dice che, tra la metà e la fine del sedicesimo secolo, un monaco benedettino avrebbe portato con sé. nel convento di Campese. alcuni semi della pianta del tabacco, pianta allora denominata Erba del Gran Priore" o Erba Santa" (per la polvere starnutatoria che se ne poteva ricavare). Gli abitanti della destra Brenta e dei Sette Comuni iniziarono così, nella nostra zona, una nuova coltura.
Con il diffondersi dell'uso del tabacco la Repubblica di Venezia, fiutatane l'importanza commerciale, impose sul tabacco un dazio sull'importazione e un decreto del 1654 ne vietò la semina, l'impianto, la vendita privata.
Fino al 1702, basandosi sugli antichi loro privilegi, i nostri paesi poterono comunque continuare la coltivazione che anzi andò espandendosi sempre più. La coltivazione del tabacco andò così a sostituire l'originaria coltivazione estensiva di canevo o canapa, insieme ai gelsi, al granoturco e al miglio. Un decreto del 1703 ed altri successivi della Serenissima proibirono tassativamente la coltivazione del tabacco.
Nel 1760 Venezia decise di far cessare l'abuso e mandò nei paesi del Canale un ispettore con l'incarico di eliminare tutte le coltivazioni di tabacco. Presso Bassano un montanaro attentò alla vita del funzionario della Serenissima, ma questi si salvò ed eseguì scrupolosamente l'incarico dato. Malgrado ciò la coltivazione riprese e, tra il 1763 e il 1796, furono stipulati tre contratti sulla lavorazione del tabacco tra i rappresentanti della Repubblica ed i Comuni di Valstagna, Oliero, Campolongo e Campese. Severe punizioni erano previste contro chi avesse tentato il contrabbando.
L'Austria (1797-1805), succeduta al dominio veneziano, confermò i privilegi già goduti, compresa la coltivazione del tabacco (1800).
Durante il napoleonico Regno d'Italia (1806-1813) regolava la coltivazione del tabacco un decreto emanato il 23 luglio 1811, ispirato da Antonio Maria Valente.
Tornata l'Austria (1813-1866), con decreto del 22 gennaio 1815, ebbero concessione di coltivare anche i paesi della sinistra Brenta, Cismon, Carpané, San Nazario e Solagna, concessione supportata da "imprestanza" (sovvenzione) confermata, nel 1817, da Francesco I d'Austria, di passaggio da queste parti. San Nazario immortalò la grazia regale con una lapide che fa bella mostra di sé nel piazzale della chiesa.
L'Austria si serviva dei tabacchi del Canal di Brenta per la fabbricazione dei "rapati" e della "polvere da fiuto".
Alle primitive "grazie" successero "restrizioni" varie. Il governo austriaco, in considerazione dell'abbondanza di tabacco prodotto, avviava una campagna ostruzionistica contro il "Nostrano del Brenta" dimezzando, fin dal 1819, il prezzo del tabacco, alterando le regole di consegna, provocando tra i valligiani malessere e propensione al contrabbando.
Senza i proventi del tabacco, la Valle sarebbe ripiombata nella miseria più nera. Ecco allora una nuova grazia imperiale: il privilegio della coltivazione veniva confermato il 26 aprile 1824 a tempo indeterminato, con la concessione, una tantum, di un lauto contributo per ovviare ai danni patiti nelle annate precedenti.
In seguito alla prima guerra d'indipendenza (1848-1849), l'Austria sospese il privilegio per la coltivazione del tabacco, trasformandolo in semplice sovrana concessione, perché i Canaloti avevano partecipato con fervore patriottico ai moti per l'indipendenza d'Italia. Per quanto riguarda la coltivazione del tabacco nella Vallata tutto continuò come prima.
Con l'annessione al Regno d'Italia (1866), i contratti con il Monopolio favorirono la coltivazione dell'Avanone (tra le varietà di tabacco - Cuchetto, Avanetta, Avanone e Campesano - era la più combustibile e adatta quindi al mutato uso del tabacco, che dal fiuto era passato al fumo). Anche il sistema di addebito per la consegna del tabacco, un tempo a peso, fu cambiato introducendo il conteggio del numero delle foglie (solo tra il 1954 e il '55 si sarebbe passati dall'addebito a piante ad un addebito a superficie e quindi a peso).
"La coltivazione dl tabacco - è scritto in un documento dell'epoca di Andrea Secco, presidente del Consorzio agrario di Bassano - è l'unica di questi paesi; è la sola che tiene stentatamente in vita circa 16.000 persone; e le derrate tutte che sono indispensabili alla vita, i coltivatori di tabacco devono comperarsele a denaro fuori della vallata. Si aggiunga a ciò la circostanza che la grande maggioranza dei coltivatori è obbligata a comperare tali derrate a credito per poi pagarle in capo all'anno col ricavato del tabacco che consegna alla Regia".
Occupazione e sviluppo demografico alla fine dell'Ottocento erano nel Canale di Brenta assai gravi. Assistiamo così, tra il 1870 e 1'80, ad un massiccio esodo della nostra popolazione verso terre lontane, in Europa e Oltreoceano. A spingere tanta gente a lasciare la propria terra sono le dure condizioni di vita, la mancanza di lavoro, è il trattamento ingiusto e insopportabile riservato a chi è costretto a coltivare il tabacco, assoggettandosi a norme fiscali e pesantemente vessatorie da parte della Regia dei Tabacchi, cioè il Monopolio dello Stato. Tra la fine dell'ottocento e gli inizi del novecento, a causa della fiscalità governativa e di chi era addetto all'applicazione delle relative disposizioni, il contrabbando si fece più acuto.
Dal 1924 una nuova disciplina regolamentava la coltivazione del tabacco attraverso concessioni speciali (su una parte del comune di Bassano e Pove) e concessioni di manifesto, (nei comuni del Canale di Brenta); in quest'ultimo caso il prodotto doveva essere consegnato esclusivamente al magazzino dell'agenzia di Carpané. I coltivatori dovevano sottostare ad alcune tasse e a numerose prescrizioni. Una serie di norme dovevano essere rispettate rigorosamente per non incorrere in sanzioni, sempre gravose e temute per le condizioni economiche della gente valligiana, povera ed indigente. Nel 1939 con il "Consorzio tabacchicoltori - Bassano del Grappa" si costituì un'associazione tra i contadini stessi di Pove e di Campese (Bassano) che godevano della concessione speciale. La consegna e quindi la vendita del prodotto in colli vennero effettuate fino al 1970 esclusivamente con lo Stato. Dopo tale data, la vendita del tabacco venne liberalizzata: ogni coltivatore, a propria discrezione, poteva effettuarlo con il Monopolio o con altri Enti. Dal 1970 quasi tutti i contadini con concessione di Manifesto aderirono alla Cooperativa Tabacchicoltori di Bassano del Grappa.
Tra concessione speciale e concessione di manifesto esisteva una differenza sostanziale, che penalizzava incomprensibilmente quest'ultima e in definitiva i coltivatori del Canale di Brenta, già di per sé svantaggiati per altre condizioni gravose e difficili, non solo di carattere socio-economico, ma anche per la natura fisica del territorio più aspro. Così mentre il Consorzio tabacchicoltori di Campese diventava sempre più fiorente, I'Agenzia di Carpané (costruita nel 1957 e costata la spesa inverosimile di un miliardo) cominciava a languire e diventava sempre più inattiva. Solo dieci anni dopo, a partire dagli anni settanta, i coltivatori della valle, stanchi di tante fatiche e di tanti soprusi, cominciavano già ad abbandonare definitivamente una coltura durata quasi quattro secoli. I tentativi per rilanciare l'Agenzia tabacchi di Carpané approdarono esclusivamente all'ampliamento di posti di lavoro, senza alcuna seria prospettiva di lavorazione. Inevitabile la chiusura di questa cattedrale nella vallata. I contadini del Canale che coltivavano per concessione di Manifesto, tra il 1955 e il 1970, andarono via diminuendo, fino a scomparire del tutto.
Nel 1970 entrò in vigore il Regolamento CEE che rendeva libera la coltivazione del tabacco e quindi non più sottoposta alla regolamentazione precedente. La tradizionale coltura del tabacco, nel breve volgere di un solo decennio, andò scomparendo del tutto. Per un certo periodo rimase ancora un introito complementare, occupando prevalentemente pochi anziani e quanti erano ancora attaccati a questa coltura tradizionale. La maggior parte degli abitanti, e soprattutto le giovani generazioni, hanno cercato però altre fonti di lavoro, più redditizie e più sicure.
Attorno agli anni Ottanta lungo il Canale di Brenta era ancora possibile vedere qualche terrazzamento coltivato. Non costituendo la coltivazione del tabacco, da molti anni ormai, l'economia trainante del nostro paese e dell'intera valle, tramontata col passare delle vecchie generazioni, essa si è ormai del tutto spenta. Il declino dell'agricoltura, la piaga dell'emigrazione e la stessa industrializzazione hanno praticamente decretato l'estinzione di questa coltura non più in grado di competere con le possibilità economiche e le condizioni di vita offerte dall'industria.
COLTIVAZIONE DEL TABACCO nel Canale di Brenta
Il Nostrano del Brenta
"Si coltivi il Nostrano del Brenta" suonavano gli ultimi contratti fra coltivatori della Vallata e l'ormai morente Repubblica di Venezia (Trattato di Campoformido del 18 ottobre 1797)!
Il "Nostrano del Brenta" è una pianta di bassa statura, molto resistente all'azione del vento, di notevole aroma e rusticità: una varietà di tabacco, spuntata dopo un secolo di lavorazione, selezionata da una terra avara che, quando vuole, sa riservare, tra i sudati frutti che produce, qualche dono vitale.
Più tardi, studiosi e tecnici avrebbero distinto tre tipi colturali: il Cuchetto, pregiato per il suo aroma, ma ben presto abbandonato perché troppo delicato; l'Avanetta, dalla foglia piccola, ma di buona qualità, nelle due forme liscia e bollosa; l'Avanone, molto produttivo, ma di pregio inferiore, detto anche Campesano dal paese di Campese, dove veniva coltivato da lungo tempo. Da ricordare anche il Nostrano Gentile, un ibrido, simile all'Avanone, ma con un numero più elevato di foglie.
PREPARAZIONE DEL TERRENO PER LA VANGATURA (trar su i rodài)
Dopo il rigido periodo invernale, nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la "rega" raccogliendola in fasce allineate; si spargeva il "leame" trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi".
Generalmente nel mese di aprile (qualcuno vi provvedeva anche prima dell'inverno), il contadino provvedeva a "trar su i rodai": con la vanga si tracciava un solco (era mezza vangata), riponendo le zolle sempre a monte; si evitava così che la terra, a causa della pendenza dei terrazzamenti, gravasse sulle "masiere" a valle col rischio di frequenti franamenti. L'operazione della vangatura aveva in particolare la funzione di eliminare le erbe infestanti e migliorare la struttura del terreno.
I rodài percorrevano in lungo gli appezzamenti, con l'aspetto di "binari" della larghezza di un metro circa.
VANGATURA E LIVELLATURA DEL TERRENO (vangàr)
La vangatura vera e propria del terrazzamento, prima del trapianto, iniziava a metà maggio circa (dipendeva anche dall'andamento della stagione) e risultava tra l'altro una operazione assai veloce. Aspetto non trascurabile perché in quella fase della coltivazione i lavori sui terrazzamenti erano assai numerosi e gravosi.
Questo era il lavoro più duro per il contadino. Non potendo usare l'aratro si doveva preparare il terreno con la sola forza delle braccia. La vanga girava le zolle di terra e le spianava con maestria, guidata dalla fatica e dal sudore dell'uomo.
Il terreno così livellato era pronto per la piantagione delle piccole piantine di tabacco.
SEMINA (semenar su 'e vanède)
Dopo i rigidi mesi invernali, si iniziava con la semina del tabacco nelle "vanede o vanese", appositamente preparate in un luogo riparato dal vento ed esposto al sole ed inumidite con il "bevarol". Per favorire la nascita e la successiva crescita delle piante, si riparava la zona con "e portee" posate sopra "e forsee".
Nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la "rega", raccogliendola in fasce allineate, e le altre erbe infestanti; si spargeva il "leame" trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi"; si tracciavano "i rodai" usando solo il "baìle" (l'aratro era ancora sconosciuto nella valle) e poi si vangava con cura meticolosa.
All'inizio della primavera, circa alla metà di marzo, il capo zona passava per le contrade della Valle. Consegnava ad ogni titolare di concessione la quantità di semi necessaria per allestire il semenzaio, assegnata in rapporto al numero di piante che il tabacchicoltore avrebbe coltivato: si andava dalle seimila piante, o anche meno, alle 9, 12, 15 e anche 20 mila piante. Il seme del tabacco è piccolissimo e ne bastava qualche grammo. Per determinare con precisione la quantità di semi utilizzava un misurino, grande come un ditale.
Agli inizi della primavera, a metà marzo (dalla festa di San Giuseppe) fino all'ultima settimana di maggio, cominciavano le operazioni di semina delle piantine di tabacco nostrano. Le temperature erano ancora piuttosto fresche, quando addirittura non faceva freddo. Si temevano soprattutto le gelate e le burrasche, per cui sulle aiuole dove erano stati distribuiti i semi del tabacco venivano collocati dei rami sui quali si stendevano dei teli: in genere le stesse coperte (juta) usate per il trasporto del tabacco (ricavate dai sacchi di riso, della farina o del frumento).
Una volta nate le piantine, per farle crescere rigogliose e in fretta, si faceva il "bevaron": le piantine venivano annaffiate con acqua mescolata a solfato ammonico (sali), a letame oppure urina; qualcuno usava la pollina. L'operazione richiedeva una certa avvertenza per non bruciare le piantine.
Gli anziani raccontano che il giovedì della Settimana Santa, al Gloria della messa, si scendeva al fiume per lavarsi il viso in segno di penitenza e purificazione. In ogni famiglia, poi, si provvedeva a riempire qualche botte con l'acqua del fiume che veniva in seguito utilizzata per annaffiare le aiuole del tabacco.
Dagli anni Sessanta, anziché assegnare i semi, cominciarono a portare le piantine e con un camioncino passavano di contrada in contrada per assegnare le piante richieste. A fine stagione, quando si portava il tabacco alla pesa e si otteneva il compenso della stagione di lavoro, veniva trattenuta la somma corrispondente al costo delle piantine (la disponibilità di denaro era ancora un privilegio di pochi).
Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il numero di licenza e dell'appezzamento.
TRAPIANTO DELLE PIANTINE (impiantàr)
Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il numero di licenza e dell'appezzamento.
Nei primi giorni di giugno si iniziava il trapianto: era quasi un rito al quale partecipava tutta la famiglia. Il capofamiglia, preso in spalla il "cristo o misura", tracciava linee ortogonali tra loro. Sui "posti", all'incrocio delle linee, le donne, armate di "caecia" riponevano le piantine (che ormai avevano raggiunto l'altezza di otto-dieci centimetri) e le abbeveravano con un po' d'acqua trasportata dalla Brenta col "bigòl". Risultavano così dei filari regolari della larghezza di circa sessanta centimetri l'uno dall'altro.
RINCALZATURA O SARCHIATURA (dar tera)
Non appena le erbe infestanti cominciavano a crescere, si procedeva alla zappatura per eliminarle e per rincalzare le piantine che ormai avevano raggiunto l'altezza di quindici-venti centimetri (ossia veniva tirata su la terra per tenerle dritte e difenderle dal vento). In quell'occasione si concimavano le piantine con il "pocio", liquame dei gabinetti (latrine). Si controllava la presenza di eventuali parassiti come i "vermi", che rodevano il colletto delle piante o le "sucaroe" (grillotalpa), che intaccavano le radici.
In tal caso si sostituivano immediatamente le piante con altre, le "rimesse", trapiantate appositamente in più rispetto al numero consentito e se non venivano utilizzate dovevano essere sradicate e distrutte, pena multe salate.
Il capozona della "Regia" con uno o più funzionari si presentava per la "conta" delle piante. Nel caso ce ne fossero più del lecito, quelle eccedenti dovevano essere sradicate e distrutte. Talvolta si scavavano delle buche che servivano per trattenere l'acqua, soprattutto nei campi in pendenza, come lo sono in gran parte quasi tutti i terrazzamenti.
CIMATURA E ASPORTAZIONE DEI GERMOGLI (simàr e rabutàr)
Giunte ad una certa altezza (circa quaranta-cinquanta centimetri), le piante venivano cimate, togliendo la parte più alta. Questa operazione permetteva lo sviluppo delle foglie rimaste nello stelo, o gambo. In genere rimanevano tre o quattro corone di foglie, con una decina delle stesse per pianta. Molto presto questa reagiva con l'emissione di germogli, i "rabuti", che dovevano essere subito tolti. Il "rabutar", lavoro piuttosto monotono, era la mansione delle donne e dei bambini.
ASPORTAZIONE DELLE FOGLIE PIU' BASSE O SECCHE (repuimento)
Un altro lavoro prima della seconda verifica da parte degli addetti della "Regia" era il "repuimento", cioè l'asportazione delle foglie basali che venivano eliminate perché di poco valore. Un tempo questo lavoro veniva fatto dalla Finanza per evitare il contrabbando.
Questa operazione richiedeva l'aiuto reciproco di varie famiglie coltivatrici che a turno si aiutavano a ripulire le foglie più basse, piccole o brutte, lasciando sullo stelo le più belle e sane, che venivano contate dall'addetto del Monopolio. Le foglie tolte venivano gettate in una buca appositamente scavata in un angolo dell'appezzamento stesso, tagliuzzate con le vanghe e sepolte per evitare che venissero usate come contrabbando. Tutto ciò avveniva sotto lo sguardo vigile della Finanza.
Ormai era tutto pronto per il secondo controllo delle foglie. Infatti la consegna al magazzino era "per foglia", si doveva cioè consegnare il numero esatto di foglie stimato nell'operazione di conteggio. L'operazione avveniva contando le foglie di ogni singola pianta di un numero di file prese a campione. Veniva quindi fatta una media in base alla quale veniva fissato il numero delle foglie che dovevano essere consegnate al magazzino. Se non veniva fatta la consegna esatta bisognava risarcire. Evidentemente al coltivatore conveniva consegnare al magazzino il numero preciso di foglie di tabacco.
RACCOLTA O VENDEMMIA (vendemàr o tor su tabacco)
Verso la fine di settembre le foglie cominciavano a maturare, specie le più basse. Iniziava così la vendemmia. Si iniziava dal basso, poiché erano le foglie della corona più bassa quelle che giungevano prima a maturazione. Successivamente era la volta del "fior" o "prima", cioè le foglie più alte, più grandi e più pregiate. Quindi si passava alla "seconda". Sul campo poteva rimanere qualche pianta non ancora giunta a completa maturazione, i "gambarei". Il tabacco raccolto veniva predisposto ai bordi del campo in "carghe", con i "bugaroi", pronte per essere portate a casa, per lo più a spalla.
MACERAZIONE (metare in màsara)
A casa, il tabacco veniva messo immediatamente in "màsara", per essere portato ad ingiallimento mediante fermentazione. Le foglie cioè venivano accatastate, in soffitta o nelle stalle, con la punta della foglia rivolta in alto e la costa verso l'esterno. Nell'arco di qualche giorno, constatato il giusto ingiallimento raggiunto, si procedeva alla cernita delle foglie, cioè a "sernir". Si passavano le foglie una per una, mettendo da parte quelle non ancora pronte e distinguendo le altre a seconda della grandezza.
Bisognava controllare sovente la giusta macerazione per evitare che andassero a male o marcissero. Nei locali si respirava un'aria pesante per il forte odore del tabacco.
ESSICCAZIONE (picàr sui smussi)
Quando le foglie erano diventate tutte gialle, si portavano sulle soffitte per appenderle sugli smussi (listelli lunghi tre-quattro metri) in modo che si essiccassero all'aria.
Disteso uno "smusso" per terra, si passava a "picar", stendendovi sopra le punte di due o tre foglie per volta e sovrapponendone gradualmente le punte senza dimenticare di fissare con lo "speo" gli ultimi due gruppi di foglie.
Lo "smusso" così pronto veniva collocato sui "teari", telai per l'essiccazione, nelle soffitte o nelle stanze alte dell'abitazione.
Dopo una quindicina di giorni, per completare l'essiccazione, le foglie venivano girate dall'altra parte, sovrapponendo un altro listello e rovesciando il tutto.
Periodici controlli erano necessari per verificare l'andamento dell'essiccazione, al fine di evitare l'ammuffimento. Dopo un mese circa, ad essiccazione quasi ultimata (tutte le foglie erano completamente marrone e la costa centrale doveva essere ancora un po' morbida), si prendeva per mano smusso per smusso, rovesciando il tabacco in catasta, "in banca", per il raggiungimento del giusto grado di umidità e per poterlo lavorare senza romperlo.
CERNITA FOGLIE E PREPARAZIONE DEI MAZZI (stiràr e far mazzi)
Nel tardo autunno si faceva la cernita. Le foglie, distinte in base alla grandezza e alla qualità, venivano stese con cura in "massi" di 50 foglie, legati con spago, rafia o anche con le scorze del tiglio. Con le foglie colpite dalla tempesta, che aveva reso il tabacco "rosto", si facevano dei mazzi a parte. Queste operazioni venivano eseguite generalmente nella stalla, in più persone, da parte delle donne. Le foglie venivano stese delicatamente con la mano, ma si racconta che talvolta alla stiratura si procedeva addirittura con il ferro da stiro a brace. Si rifacevano le "banche" con i mazzi ben allineati e pronti da consegnare al Monopolio di Stato a Carpané.
ESTIRPAZIONE STELI (cavar i gambùgi)
L'ultima operazione all'aperto consisteva nel togliere gli steli delle piante di tabacco rimasti negli appezzamenti dopo la vendemmia. Sovente era motivo di gara sportiva tra i giovani. Vinceva chi ne toglieva di più in meno tempo. Una volta tolti dal terreno, venivano violentemente sbattuti tra loro per togliere la terra e ammucchiati in piccoli covoni per poi bruciarli a primavera. Intanto l'inverno con la neve si avvicinava... e i lavori erano finiti!
TERMINOLOGIA
Baìle
Il baìle o baìl (vanga) era ed è un attrezzo comune, costituito da un manico di legno, lungo 1 metro e mezzo circa, e da un'appendice in ferro, una pala a punta per affondare nel terreno, mediamente di 28-30 centimetri. Serviva 'a trar su i rodai', voltare le zolle in autunno e a rivangare in primavera.
Balànsa
La balànsa era una stadera formata da un unico piatto, su cui si poneva il tabacco (o altra merce), retto da tre catene. La misura del peso si legge sulla leva, su cui viene fatto scorrere il contrappeso. La balànsa ha in genere due portate che corrispondono a due scale incise sugli spigoli opposti del braccio. Si può utilizzare l'una o l'altra portata capovolgendo il braccio, operazione questa che modifica opportunamente il braccio di leva.
Bassacuna
Serviva a pesare grandi quantità di tabacco o di altre merci.
Bastina
La bastina, era un piccolo basto, confezionato con foglie secche di granturco (scartossi de sorgo) o paglia, rivestito con sacco di juta o canapo. Veniva posto sulle spalle per appoggiare la sbessoea che serviva per il trasporto del leàme o della terra.
Bevaròl
Il bevaròl (annaffiatoio), generalmente di latta, serviva ad 'abeverar' le vanese o le piantine di tabacco appena messe a dimora.
Bifa
La bifa, ricavata da una tavoletta di legno o da una piccola lamiera o altro materiale, generalmente di forma rettangolare (15 x 10 centimetri circa), riportava i numeri riferiti al concessionario di licenza per la coltivazione del tabacco.
Bigòl
Il bigòl è un arco dalla curva accentuata di legno robusto, in genere di cornoàro (corniolo) o di noseàro (nocciolo), lungo circa un metro e mezzo, piallato dal lato esterno, e fornito alle due estremità di ganci (reciàre) in ferro a cui si appendono i carichi (secchi colmi d'acqua).
Caécia o broca
La caécia (cavicchio), è un semplice pezzo di ramo con un'appendice ricurva, della lunghezza di una trentina di centimetri, che serve per forare il terreno quando vi si vogliono introdurre semi o piantine. A Valstagna era più comunemente usata la broca, un pezzo di legno arrotondato sull'impugnatura e appuntito nell'altra estremità, della lunghezza di 18-20 centimetri e del diametro di 2-2,5 centimetri, generalmente ricavato dal manico della scopa. Era indispensabile per piantare il tabacco, ma si usa ancora comunemente negli orti per mettere a dimora le varie piantine.
Caìn
Un recipiente di latta smaltata di larghezza variabile, di solito di 30-35 centimetri di diametro, dalla forma svasata, profondo una decina di centimetri. Serviva a contenere le piantine al momento della messa a dimora.
Carèga
La carèga tradizionale, dalla forma caratteristica, aveva un solido telaio di legni squadrati, lavorati artigianalmente, e un fondo di paglia da carèghe, costituita dalle foglie essiccate di piante palustri (le sale o carici). La carèga veniva talvolta impagliata con gli scartossi (foglie essiccate del granturco).
Cariolòn da leame
Era una cariòla dal fondo piatto e ampio, senza sponde, che serviva a portare il leàme dalla stalla ai terrazzamenti. Il cariolòn, come altri attrezzi da trasporto, era costruito dall'uomo di casa.
Carga de tabaco
Il carico di tabacco trasportato dai terrazzamenti alla casa. Carga poteva, inoltre, indicare il carico di tabacco dei contrabbandieri.
Cartine
Cartine finissime gommate con puro lino e canapa. Sono insuperabili e leggerissime. Fumandone 30 avrete consumato circa un grammo di carta.
Cuerta, cuertina o bugaròl
La cuerta, detta anche bugaròl, di solito veniva confezionata con sacchi di juta, ricucendo i bordi. Su due estremità portava due cordicelle di canapo. Sulla cuerta o bugaròl venivano disposte le foglie di tabacco: era la carga di tabacco.
Falsa
La falsa, falce, è un altro antichissimo attrezzo fondamentale nel lavoro dei campi. Ha la lama ricurva fissata solo con un semplice anello in ferro a un manico che è tutto di legno di nogàra (noce). Sul manico ci sono due impugnature (a volte ce n'è una sola), sempre in legno.
Fior
Foglie di tabacco, dette anche foglie di prima, erano le prime tre foglie alte della pianta, quelle più pregiate per qualità e più consistenti per peso. Questo fior è conservato dal 1966 e proviene da Oliero.
Forca
La forca è costituita da un manico di legno lungo circa 1 metro e mezzo circa e da una appendice, lunga 20-25 centimetri, a tre o quattro denti in ferro.
Gambuij
Gambo della pianta, ancora inpiantato nel terreno, dopo aver tolto tutte le foglie. Doveva essere estirpato con la piconea e distrutto con tutte le radici. A volte venivano lasciate delle parti di radici per poter avere nuove piantine per il contrabbando. Per la stessa ragione, dai gambuij, prima di essere estirpati, si recuperavano le poche e piccole foglie che nascevano dai rigetti lungo il gambo.
Macina tabacco
L'attrezzo serviva a sminuzzare il tabacco. Con la foglia ridotta in polvere si otteneva tabacco da naso, che veniva contrabbandato.
Massùco
Il massùco (mazzuolo) era un attrezzo di legno che serviva a battere la nervatura centrale della foglia, i màneghi o tòtani (appendice basale della foglia) e la rottura delle foglie di tabacco (ogni residuo o scarto di tabacco che avrebbe dovuto essere tassativamente distrutto o consegnato al magazzino tabacchi) per ottenere una più rapida essiccazione. L'operazione avveniva all'aperto e al sole. Si trattava di tabacco da naso destinato al contrabbando. Anche i màneghi, una volta ridotti in povere, venivano poi contrabbandati. Da un chilogrammo di tabacco secco si ottenevano circa 3 etti di tabacco da naso.
Monega
Lo strumento usato per scaldare il letto d'inverno era la monega (trabiccolo), un attrezzo dalla caratteristica forma di navicella. E' un traliccio in legno lungo poco più di un metro che serve a tenere alzate le coperte e a contenere la fogàra in modo da impedire che il calore delle bronse surriscaldi o bruci le coperte. I due ripiani che contengono la fogàra sono rivestiti, all'interno, di lamiera.
Mortaio
Nel mortaio si riducevano in polvere da fiuto i gambi e gli scarti delle foglie di tabacco. Questo modello, in legno, proviene dalla Romania. In Valbrenta spesso si usava una pietra incavata, chiamata "pia".
Paga debite
Questo attrezzo, unico nel suo genere, con un manico ed una estremità in ferro arrotondata, era usato a mo' di leva per ridurre in polvere le foglie di tabacco, ma anche i màneghi e le rotture delle foglie di tabacco (ogni residuo o scarto di tabacco che avrebbe dovuto necessariamente essere distrutto o consegnato al magazzino dei tabacchi). Veniva chiamato paga debite in quanto il contrabbando del tabacco da fiuto consentiva guadagni più sostanziosi per pagare i debiti e disporre di qualche gruzzolo di denaro.
Pia
Recipiente di pietra locale (rosso Asiago, biancone, rosa, verdello...) che serviva a pestare il tabacco con il paga debite, pal de fero con l'estremità arrotondata. Il lavoro era di solito ritmicamente condotto in coppia, in nascondigli sicuri.
Piconèa
Era un piccone al quale era stata tolta l'estremità a punta, attrezzo con manico di legno lungo circa un metro e una estremità in ferro di 15-20 centimetri. Serviva a sradicare dal terreno i gambi ('gambuji') della pianta di tabacco.
Pompa per verderame
L'attrezzo serviva e serve a trattare la vite con il verderame.
Rastèl
Il rastèl tradizionale (rastrello) è formato da un lungo esile manico, lungo 1 metro e mezzo, che si inserisce, in fondo, in un traverso in ferro, o in legno, che porta i denti. Serve sia a rompere le zolle che a livellare il terreno.
Rullo
Questo attrezzo serviva a pestare le nervature e rendere lisce le foglie di tabacco, in genere il fior del tabacco destinato al contrabbando. Il tabacco così preparato era anche denominato rodoeà (arrotolato). Il procedimento dello schiacciamento era eseguito con il rullo di pietra dopo aver steso per terra una certa quantità di foglie di tabacco. L'attrezzo serviva anche per stirare le foglie di tabacco.
Sapa
La zappa ha un manico di legno, lungo circa 1 metro e mezzo, e due appendici: la pala di 20 centimetri circa e la punta di 10-12 centimetri. E' molto diffusa anche la marra, la zappa cioè con la sola pala, lunga una ventina di centimetri, che serviva a "dar tèra al tabacco
Saponèa
La saponèa, come la piconèa, era un piccone al quale era stata tolta l'estremità a punta. Attrezzo con manico di legno lungo circa un metro e una estremità in ferro di 20 o più centimetri. Serviva a sradicare dal terreno i gambi (gambuji) della pianta di tabacco.
Sbesoea
Era una specie di cassetta, usata per il trasporto della terra o del letame. In questo caso era rivestita, all'interno, da una lamiera che serviva a trattenere il liquame. Era costituita da un piano in tavole di legno con bordi rialzati su tre lati, mancante sulla parte anteriore per scaricare il contenuto.
Segone e pialla
Attrezzi usati per fare gli i smussi, traversi in abete sui quale venivano appese le foglie di tabacco.
Siliéra
La siliéra (barella) è un attrezzo che veniva adoperato per il trasporto del leàme. La siliéra era fatta come la barella, con quattro manici e un piano base portante al centro.
Snisoea, béco
Il béco, detto anche snisoea, è una comune slitta, non molto grande, ma dalla struttura molto solida, costruito generalmente con legno di faggio ricurvo. E' formata da due branchi, gli scivoli, (talvolta rivestiti nella parte inferiore di consistenti lamine di ferro), dette ràie, sulle quali si incastrano quattro strutture lignee verticali dette colonéte, sulle quali si regge un piano di carico fatte di semplici traversi. Il béco è stato sulle mulattiere e sui sentieri il mezzo di trasporto per eccellenza della zona montana. Questo tipo di slitta era ed è comunemente usato a Campolongo sul Brenta per il trasporto di tabacco o di legna dalla montagna.
Soffietto per zolfo
Con questo attrezzo si trattava con lo zolfo la pianta del tabacco, come la vite o altre piante.
Sogato con passeta
Per tendere il sogato (corda) era necessaria la passeta (passante), un piccolo legno di una ventina di centimetri con due fori, avente la forma vaga di una piccola nave (navetta). Attrezzo indispensabile in montagna per tendere qualsiasi corda.
Spei
Servivano a fissare gli ultimi due gruppi di foglie stese sugli smussi.
Staliéra
Una bilancia per misurare i grandi pesi dai cinque chilogrammi al quintale e più. E' una bilancia a stadera che regge il grosso peso mediante due catene terminanti con due uncini. Bilancia e peso vengono alzati da due persone per mezzo di un palo infilato entro un robusto gancio. Sulla sbarra, che ha una doppia scala graduata su due spigoli contrapposti, la equilibratura e la lettura del peso si fanno regolando il marco (il contrappeso).
Strisso o cristo
Era un rastrellone che serviva a tracciare sul terreno i solchi, prima in direzione orizzontale quindi verticale. Sulle intersezioni veniva posta a dimora la piantina di tabacco utilizzando la caecia o broca. L'attrezzo, completamente di legno, era costituito da un'asta che fungeva da manico lungo circa due metri e da una parte terminale larga circa 1 metro e 80 centimetri, con pioli di legno di una ventina di centimetri che segnavano il terreno, distanti 45 centimetri l'uno dall'altro su un lato e 55 centimetri sul lato opposto (la distanza tra piolo e piolo poteva essere su un lato di 55 centimetri e sull'altro di 60 centimetri).
Scalòn
Scala a tre montanti per picàr i smussi.
Vasi di latta
Questi vasi di latta, di varia dimensione, servivano a nascondere il tabacco all'interno di 'masiere' nei terrazzamenti, in qualche pozzo, nella stella (sotto la greppia delle vacche o sotto il pavimento), in altri ripostigli sicuri della casa o cavità naturali della montagna.
Versaòr
Versaòr, o aratro, è retto mediante due manici che finiscono in due impugnature ed è formato dalla pèrtega (bure) che regge il versaoro, un piccolo vomere che rovescia la terra. Veniva tirato da un adulto o da due ragazzi, mentre chi reggeva i due manici esercitava una pressione in modo che la lama incidesse il solco. Con questo aratro (usato in origine a Pove e poi a Campese) si dava terra alle piante di tabacco.